7 Marzo 2014 – Il ritorno

Non poteva che essere notte per dedicare due parole al passato.

Non ho dimenticato di avere questo spazio…l’ho solo accantonato, in concomitanza con svariate quadrature di cerchio. Che strano effetto fa, rileggersi, adesso. Sembrano passati anni luce.

Fra 7 giorni sarò ufficialmente una laureata ebbasta, senza neo. Di nei, invece, ce ne sono talmente tanti che la pelle sana fa fatica a predominare. Se continuo a sfiorarla è solo perché si porta ancora dietro quell’abbronzatura prepotente cercata con tanto ardore…e le carezze di chi ha saputo aspettare per conquistarla, per poi abbandonarla come la muta di un serpente, una rete da pescatore.

E quindi, sì, dall’Argentina sono tornata, non chiedetemi perché.

Non avevo nulla a cui tornare.

Ci ho pensato tutti i giorni del mio tragitto per quelle strade infinite, senza delimitazioni di corsia, attraversando il verde rigoglioso della Pampa, con le sue vacche grasse al pascolo, e poi il paesaggio che si seccava rapido insieme ai cavalli dalle membra sempre più magre, spezzate dall’arsura del sole. Ci vuole fortuna anche per nascere selvaggi.

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Ho goduto del percorso, dei boschi, dei laghi cristallini a confine col Cile, quando cominciavano a vedersi le Ande, finché non le abbiamo raggiunte. Del mare di Puerto Piramides, sulla costa atlantica, un posto del cuore, dopo aver spaccato il deserto patagonico senza incrociare un’altra auto per ore. Sdraiarsi sull’asfalto, urlare senza che potesse risponderti neppure l’eco.

Allora ho iniziato a non pormi le domande. E, stranamente, le risposte sono arrivate da sole, portate da una folata di vento.

Insomma, l’Argentina tanta roba…compresa quella che mi sono tolta di dosso. I pesi sul cuore, l’anima sporca di quel grigiore, e quei vestiti che dovevano scivolare ai piedi di un divano dopo venti giorni di campeggio.

Il compagno di viaggio è stato un compagno di vita…ma m’ha rimessa sull’aereo. Anzi, ha preferito che verso le ali ci andassi da sola, con tutte le mie insicurezze.

Perciò…sono tornata in Italia. Sono tornata a casa. E qui sto cercando di ricostruire una vita provvisoria che metta a posto qualche tassello fino all’ennesima scadenza, quella di Settembre 2014, in cui dopo questa estate perenne colma di progetti apparentemente aleatori ed utopie che si aspettano di essere sconfessate più che realizzate, vorrò decidere, ancora una volta, la prossima mossa.

La partita di scacchi più lunga del mondo, la vita.

L’Italia mi pare peggiorata. Non si vede la luce in fondo al tunnel. E’ complicato non lasciarsi abbattere da tutto ciò che sembra insormontabile, e poi sentirsi pure dire che le cose non le troviamo perché non le cerchiamo.

Noi? Proprio noi che ci siamo spinti fino ai confini del mondo, pur senza realizzare l’impresa?

Ho visto questo ritorno avvenuto quasi per caso, più come una presa di coscienza che come una sconfitta. L’oroscopo dice che l’indecisione potrebbe essere la mia carta vincente perenne. E che devo prendere la provvisorietà con leggerezza e fantasia, ironizzando su me stessa.

Ebbene allora vivrò, vivrò di solo vivere, come tutti mi intimate. Perciò non mi dilungo sui massimi sistemi divisi per punti per analizzare il mio primo anno con la pergamena in mano. Non l’ho neppure appesa in cameretta, quello spazio di bambina che ora mi sta così stretto, mi spezza le righe di un romanzo già scritto.

Il mappamondo è nel suo scatolo. Sta solo riposando un po’.

21 Novembre 2011 – La grazia

PVR

Per grazia ricevuta dovrei dire grazie.

Dopo una notte inquieta, silente quanto l’inverno che stamane ha lasciato la prima brina sulle foglie sempre più morte che ricoprono la città, ho spedito il mio primo pacco verso “casa” (perchè ancora una casa ce l’ho, e posso dire che sia dove la mia famiglia mi aspetta, anche se non riesce più a capire quando, come e perchè).

Il turco del kiosk mi ha accolto con una frase ermetica: “tutto bene? tutto Balotelli!” aiutandomi a cavare fuori lo scatolone male incartato su cui troneggiava la destinazione: ITALIEN.

Pochi spiccioli per 15kg di qualunque cosa.

Quando sono arrivata in ufficio, nettamente in ritardo, un foglio bianco splendeva sulla scrivania nera.

APPROVED. 3 days off. Ci vado. epoidimmisequestononédestino

Senza farmi notare inizio a fotografare la parte interessata e whatsappo la notizia a chi con me si é disperato guardando le stelle.

Allah ti vuole bene, continuiamo a ripetere come fosse un gioco pericoloso, col timore di essere intercettate e malinterpretate.

La voce gira veloce fra i corridoi piú pettegoli della storia di Crucconia, e come ogni santa che si rispetti, inizia un vero e proprio pellegrinaggio in visita alla miracolata che ha riservato questo trattamento “eccezionale”.

Il mio mentore mi ruba due minuti per un comunicato stampa che probabilmente non sarà più nostro compito rilasciare, poi ribatte: “Hai iniziato a ripulire il computer? oh, hai ancora dei giorni di vacanza?”.

Il foglio é ancora in bella vista accanto al mouse.

– “Veramente vado a fare un colloquio di lavoro a Milano…cioé non é propriamente un lavoro, ma…sí non sarò in ufficio fra due settimane”.

– “Volevo tanto andare a Milano per Capodanno, ma alla fine io e mia moglie abbiamo deciso di andare ad Istanbul

Gluck. É una persecuzione. La mia vita é ormai colma di Turchia e tutto sembra legato ad essa. Quella vacanza m’ha regalato un paio d’occhiali con cui guardo il mondo da tutta un’altra prospettiva, e non riesco a togliermeli, neppure mentre dormo.

– “Incredibile…é proprio per quello che vado a Milano. È proprio lí che vorrei andare…”

Non volevo dirlo ad alta voce, non volevo scriverlo. Come si chiama, scaramanzia?

Il mio é timore di crederci anche solo per un attimo e di rimanerci troppo male dopo.

Di riattraversare col pensiero il ponte di Galata, e poi precipitare in un burrone.

In pausa caffè ribbecco la mia collega lituana sempre piena di dritte su come trovare marito. Mentre arrotola i suoi spaghetti scotti su un cucchiaio, pronuncia la fatidica domanda: “hai deciso cosa fare dopo?”, come stesse a me capire, sapere.

Le confondo le idee con i miei caotici desideri, le mille mete, tutte quelle partenze in sospeso, tutti quei voli in cui ho speso la maggior parte dei miei guadagni. Mi aspettavo un ammonimento, invece quasi mi abbraccia, raccontandomi la sua storia di ex modella anoressica intorno al mondo, dicendo che mi rispetta tanto, perchè sto provando con tutta me stessa a trovare la mia strada e sa che non é facile.

Sconvolta torno di fronte al pc, e incrocio un altro collega, l’unico uomo ad avermi consigliato egli stesso di trovarmi un ragazzo tedesco in questi mesi (lafaifaciletu).

– “Le tue ultime settimane qui stanno passando in fretta…sei pronta per l’Argentina?”

– “Certo che sono pronta. Solo vorrei anche sapere cosa fare dopo. Ho iniziato ad impacchettare le mie cose…”

– “Giá, cosa farai con l’appartamento, e la tua roba?” “Lascio tutto…”

Non mi dà il tempo di finire e sgattaiola via, l’autonomia di una conversazione mediamente profonda con un tedesco é sempre di 1 minuto e mezzo, onde evitare troppo coinvolgimento.

Last but not least, uno dei designer, un master in birre artigianali di quei famosi incontri post ufficio, mi chiama per un progetto che lentamente sta prendendo forma proprio ora. Non so se sarò in grado di vederlo prima di andar via, ma devo ammettere che é efficace.

“Allora dovrai restare per un altro anno, perchè ci servi”.

Non so come sentirmi in questo groviglio.

“Same here” dicono in coro.

Dall’altra parte d’Europa, un’amica scrive la tesi e cerca lavoro in Perù. Un altro torna dall’Africa dove ha pagato la scuola ad intere classi di bambini a cui ha insegnato l’inglese, e con una settimana di distanza parte per Israele.

Non sono l’unica matta.

Il mio compagno di viaggio ha avviato un countdown telematico al mio personale “Into the wild”. Quello é un appuntamento che non mancherò. Al momento mancano 46 giorni, 10 ore, 22 minuti e qualche secondo che scorre, inesorabile.

Il tempo grava su di te con il suo peso, come un antico sogno dai tanti significati. Tu continui a spostarti, tentando di venirne fuori. Forse non ce la farai, a fuggire dal tempo, nemmeno arrivando ai confini del mondo. Ma anche se il tuo sforzo è destinato a fallire, devi spingerti fin laggiù. Perché ci sono cose che non si possono fare senza arrivare ai confini del mondo.  (Haruki Murakami)

Ed é proprio lí che arriverò, presto.

8 Settembre 2013 – Gli interrogativi della domenica dell’expat

Con mia mamma, su skype.

Fra uno straccio umido di pulizie e le solite domande: “che tempo fa lì oggi?”

I veri interrogativi sono altri. Si susseguono a catena, potresti metterli in un diagramma di flusso, quello delle elementari, forse ti aiuterebbe a trovare una soluzione. Presto, non c’è tempo da perdere. Domani è lunedì, inizia un’altra settimana del tempo che passa e va verso l’autunno, si torna in ufficio.

Il lavoro che faccio mi piace?

Vale la pena chiedermelo? Non è già un miracolo che io ne abbia uno a soli pochi mesi dalla laurea?

In fondo mi pagano, e sono quasi indipendente economicamente, il resto non conta. Il resto non conta?

Non conta che io volessi fare la giornalista e ora “mi accontento” di essere un’apprendista PR?

I soldi mi fanno contenta solo quando servono per altro. Per viaggiare, per esempio. Ho 23 anni, è ora o mai più. Alla scadenza del contratto dovrei prendermi un mese per la partenza zaino in spalla che sogno da sempre, e fuggire in Argentina.

E poi? E ma? E se?

E poi torno al progetto Germania? Dal tedesco A1 passo al tedesco A2 e un’altra azienda la trovo, o magari una redazione. Ma chi me l’assicura? E se resto senza far niente?

No, questa è la logica italiana. Ok l’instabilità generazionale, ma qui il lavoro si trova e sarei sempre più qualificata. Ma perchè, perchè non posso farlo a casa mia?

C’è una borsa di studio, per un master. Potrei fare un master. In Italia. In Italia? Ma sei matta? 

“Qui si muore”, ti dicono tutti, te lo ricordano, sembra che te lo sei dimenticata. E poi non sarebbe un po’ come tornare indietro? Studiare ancora quando sei già in una buona azienda? Perchè? (e qui potrei tornare al punto 1 e ricominciare daccapo)

Quando tornerò dall’estero, se tornerò dall’estero? Quand’è che l’estero diventerà casa e casa un posto altro da me?

…la verità è che tutti questi quesiti si annullano di fronte ad un’unica sola domanda che conta.

Sei felice?

Ed è l’assenza di questa risposta che mi fa giocare con le frecce, perdermi negli specchi, mi toglie il sonno la notte, mi stanca, mi asfissia.

19 agosto 2013 – Le 10 cose che mi sarebbero mancate di Amburgo

Sono giorni particolari in cui mi chiedo per l’ennesima volta se abbia davvero un senso il mio percorso qui in Germania. Se davvero i fatti abbiano scelto per me scrivendo la mia storia, portandomi fino ad Amburgo, oppure sia stata io a prendere una decisione che ora devo accettare anche nei giorni no.

E’ stata un’estate dura, pesante, e senza vacanze. La peggiore della mia vita, probabilmente. L’arrivo precoce dell’autunno, nei 13 grigi gradi amburghesi quasi mi consola. Finalmente non sarà più bello da qualche altra parte, anzi, questa città fatta apposta per chiudertici dentro, avrà molto più da offrire mentre si trema.

In realtà ci siamo ripetuti più volte che sarebbe il posto perfetto dove vivere se non fosse per questo tempo di merda – ho finito gli eufemismi.

In realtà ci sono almeno 10 cose che mi sarebbero mancate semmai avessi deciso di tornare in Italia…semmai ci dovessi tornare per qualche assurdo motivo.

Mi sarebbe mancata:

1) La musica classica nel piazzale di Hauptbahnhof, fra un binario della U-bahn e l’altro, confusa nel vociare della gente sempre di fretta che non guarda neppure dove va e le colonie di ubriaconi. Sembra poco poetico, ma quelle poche note che mi concedo, mi fanno sempre sognare mondi lontani, o inesistenti.

2) Il tramonto sul profilo della città, all’altezza di Hammerbrook sulla linea S-3 o S-31. In direzione Neugraben/Stade o verso il centro, insomma, devi solo stare attento a dove girare la testa e non perderti neppure una di tutte le quattro guglie delle chiese, più la torre della televisione, che non sarà quella di Alexander Platz, ma quasi la preferisco. Al calare del sole è speciale, ma il mio gioco è guardarla tutte le mattine, come fosse un porta fortuna per la giornata che inizia. E anche se nulla si sposta, mi sembra ogni volta diverso. E qualche mattina la nebbia è talmente fitta che non si riesce a distinguere nulla.

3) Il mio quartiere, Veddel, dove mi sento in una perenne puntata di Kebab for Breakfast. Quello che tutti bistrattano pur non essendoci mai stati. Lo difendo con orgoglio, fra le urla dei bambini che giocano e i gruppi dei ragazzini fissi sulle panchine con un Ayran in mano che ti squadrano dalla testa ai piedi manco fossi una top model. Sei quasi un po’ strana, perchè non hai il velo. E’ un paesone, mi fa sentire a casa. Quello da cui sono scappata, ma che resta pur sempre mio.

4) L’atmosfera della Schanze, passeggiando per Belle-Alliance Straße da Christuskirche, e i suonatori di strada che si alternano sotto il ponte della S-bahn a Schanzenstraße. Insostituibile, nè con Ottensen, nè con nessun altro quartiere alternativo di nessun altra città europea.

5) I rombi rassicuranti delle navi che salutano Hafen City, ancora in costruzione, come la mia vita.

6) L’Hammam di Landungsbrucken! – un’altra cosa che mi fa tornare ad Istanbul.

7) Pedalare a tutta forza spaccando la Speicherstadt, da Baumwall a Veddel Ballinstadt, lasciandomi alle spalle l’incompletezza catarifrangente dell’Elbphilarmonie, col vento immancabile fra i capelli, attraversando almeno quattro ponti.

8) La lurida calca della Reeperbahn, miseria, perdizione e distruzione del sabato sera. Lì dove tutto è possibile. E le nottate al Molotow, rifugio da quella stessa Reeperbahn che lasci fuori col suo squallore a tratti stomachevole, per concederti un po’ di buona musica su cui ondeggiare e cantare, sorseggiando un cocktail a 3€ in tutto simile ad una vodka-lemon fin troppo leggera ma che mi dà dipendenza.

9) Lo shopping a Spitalerstraße, più che a Monckebergstraße. In tre negozi di fila dopo 8 ore di ufficio sono capace di spendermi un quarto dello stipendio senza neppure accorgermene. Però, che soddisfazione.

10) Mettersi a rimirare i riflessi del Binnen Alster, le anatre, le oche, la gente in canoa, i turisti, le coppiette. Lì non riesco a non pensare che Amburgo sia proprio una bella città, e che un po’ mi appartenga già.

29 Luglio 2013 – Le prime 10 cose che ho imparato ad Amburgo

Fra pochissimi giorni saranno 3 mesi che sono qui, arrivata in questa landa desolata, poco assolata 🙂 Mi sembra di essere lontana da una vita e mezza. La lenta regolaritá che acquisisco mi piace, e in un altro post vi racconteró le 10 cose che mi sarebbero mancate se me ne fossi tornata in Italia (cominciavo giá a pensarci, e invece…) peró come ti manca casa d´estate quando tutti tornano alla base, come ti manca la spiaggia quando consumi le tue giornate dietro una scrivania, aspettando di imparare.

Non sono stati 3 mesi inutili, anzi. E chissá quante altre cose impareró nei prossimi, chissá quanti saranno i prossimi. Nel frattempo, se c´é qualcosa che ho capito é che…

#1 Qui non si puó bere nulla che non sia con kohlensäure, anidride carbonica. I tedeschi sono allergici all´acqua naturale. Ci devono mettere dentro una foglia, un fiore, un grano di pepe, un capello, qualcosa che gli stuzzichi il palato. La prima volta al supermercato nel reparto bibite m´é venuto spontaneo di comprare l´acqua con l´etichetta blu e la scritta “Classic”. Vuol dire che c´é un quantitativo di bollicine da sturarti il naso. Quella rossa, invece, é l´acqua degli sfigati, e dopo un po´non ti disseta.

# 2 Sí, perché dopo un po´i sapori pervadono anche le tue papille, fra salse, salsine e salsette. Non si accontentano piú di qualcosa di sano, bollito, insipido. Cercano sempre nuovi stimoli, vogliono sale, sale, sale, sale. Cosí il ricordo vago di due biondissimi turisti che ti cenavano di fianco durante le vacanze in montagna e con disgusto caricavano di altro sale la pizza appena servitagli…diventano stranamente concepibili.

# 3 Sei tu il deficiente che fa la colazione dolce. Tu e forse gli spagnoli. Il resto del mondo mangia pane e salame, fattene una ragione e smettila di credere che sei ancora dalla parte del giusto (vince sempre la maggioranza). Per il dolce c´é sempre a disposizione tutto il resto della giornata: le 1000kcal di un Kaffee und Kuchen (torte di otto piani fatte di burro al 50% innaffiate da litri di cappuccino) e, ovviamente, gli zuccheri introitati grazie alle bevande gasate di cui sopra.

# 4 Quando si entra in casa ci si toglie le scarpe. Magari le si lascia anche fuori, tutte sparpagliate, come fanno i miei dirimpettai turchi. Di ogni dimensione, i mocassini del papá su quelle mignon della figlia piú piccola, fino alle scale. All´inizio é uno shock, un festival di calzini bucati ed imbarazzo. Poi capisci l´utilitá: si sporca meno e si sta piú comodi. Ed improvvisamente torneresti in Italia costringendo la tua famiglia a convertirsi a questa pratica.

# 5 É impossibile rimorchiare un tedesco in discoteca. Perché, appunto, non ti rimorchiano loro. Dovresti buttartici addosso e malamente pur di farli reagire. Ammiccano, dondolano, ma non farebbero mai il primo passo. Cosí sai che chiunque ti si avvicini avrá qualche gene straniero da parte di madre o di padre. Questo non vuol comunque dire che ti richiamerá il giorno dopo (una regola da rammentare a livello universale 🙂 )

# 6 Il weekend (Wochenende) é sacrosanto. Va organizzato nei minimi dettagli, tanto quanto la settimana di lavoro appena trascorsa. Se non hai nessun piano o resti in cittá sei uno sfigato assoluto. (Noi continuiamo a farlo italian style: si decide di SABATO MATTINA!)

# 7 I tedeschi sono capaci di mandare giú quantitativi di birra improponibili. Non é uno stereotipo. E sono insuperabili nello schifo lasciato dopo una qualsiasi festa/manifestazione/concerto. É un tripudio di schizzi di vomito, rivoli di piscio e carcasse di bicchieri di plastica e bottiglie di vetro appositamente recuperati dai trovatori di “Pfand” (in Germania puoi restituire vetro e plastica ottenendo in cambio qualche spicciolo che gli hai comunque pagato al momento dell´acquisto). Lo fanno perché sanno che tutto sará ripulito prima che sorga il prossimo sole, come se nulla fosse accaduto. Tuttavia, dopo le 4 di mattina, in Reeperbahn ti servirebbero le scarpe chiodate.

# 8 Le feste sono tutte uguali: di paese, del porto, del molo, dell´angolo della strada: ci saranno sempre 50 stand che preparano 50 tipi diversi di schifezze che vorresti sbafarti dalla prima all´ultima. Ci sará sempre il capannetto che vende solo cetrioli, o solo cavoli fritti (che trash) e gli immancabili cuoricini di pan di zenzero. Birra a fiumi, ovvio. (Vedi punto 7)

# 9 Va sfruttato ogni raggio di sole. Puoi spogliarti ovunque, vestirti come ti pare, puoi anche non depilarti: nessuno ti guarderá, nessuno se ne accorgerá, nessuno ti giudicherá. Tutti uguali nell´impudicizia.

# 10 Amburgo non é sul mare, ma sul fiume. (E questo piú che il punto 10 é il punto 1!) E il fiume é gigante, visto che ospita uno dei maggiori porti del mondo intero. Il fiume si chiama Elba. E se pensavi che il Tevere fosse sporco, non l´hai ancora visto.

19 Luglio 2013 – Kapitel Zwei

E´venerdí, un nuovo venerdí.

E´venerdi di nuovo e credo lo sará sempre.

FREITAG, il giorno della libertá.

Sono sempre piú tedesca, aggrappata alla speranza del wochenende.

Non sono fuggita invano per ricaricarmi. Ogni porta chiusa ha bisogno della sua piccola scappatella per aprirne una nuova, e “chiodo schiaccia chiodo”, una filosofia che non ho mai sposato.

Ho riempito una busta di documenti, attenta a non perdere il foglio con le belle parole che mi augurano tanto successo, ho riempito lo zaino con pochi stracci e sono volata via.

A 40 gradi i pori si sono risvegliati e non c´ho capito piú niente, fra le cittá giá vuote, la sabbia nelle dita e il silenzio della gente, o le parole senza senso, e la tristezza effimera di un affollato sabato sera che non significa che gli italiani possano permetterselo o abbiano voglia di festeggiare.

“Beata te”, e non mi posso lamentare perché tutti stanno strenuamente cercando di condurre la propria battaglia spesso con scarsi risultati, come se io fossi arrivata fin quaggiú su una piuma trasportata dal vento.

Col peso del sudore e di un nuovo bagaglio supplementare imbarcato di corsa al check-in, sono tornata al Nord. Al Sud del Nord, dove é iniziato il Ramadan e la Turchia non é poi cosí lontana. Dove mi trovo ancora a mio agio, nonostante qualche pattuglia di troppo e i nasi storti dei nuovi colleghi che mi chiedono dove abito.

Sí, ho dei nuovi colleghi, una nuova scrivania, una nuova finestra da cui guardare un nuovo paesaggio. E´passata solo una settimana e i miei passi sono giá diventati abitudine. Il caffé precedente, un piacevole quanto fasullo ricordo rimpiazzato da una macchinetta migliore – ma pur sempre ciofeca.

Nel caos dei moduli da compilare, delle firme da dispensare… delle richieste piú impensabili. Ci sono momenti in cui il caos assume senso. E tutti gli avvenimenti passati si concatenano. Per creare un nuovo piano, tutto da scoprire. É la sfida di ogni giorno, il telecomando che mi affidano nel tempio dei remote controls, facendo tesoro del Sacro Graal del giornalismo.

Il bottino, a ´sto giro, lo conquista chi se lo viene a prendere.

Io sto qui, questo é il mio posto.

4 luglio 2013 – Bis morgen

Dire “a domani” è già un sentimento. Perché se oggi ti parlo di domani, vuol dire che domani ci sarò. “A domani” è promessa; domani è esserci; domani è presenza. Domani è quella tregua di serenità fra il già passato e quello che verrà. Perché domani io e te saremo ancora noi.”

Domani. Sì, solo un altro giorno. Solo altre pochissime ore.

Ma già oggi ti ho detto per l’ultima volta “a domani”, “see you tomorrow”, bis morgen.

Così ho scritto queste parole di Massimo Bisotti sulla prima pagina bianca di un libro che non avrei dovuto comprare, di un altro capitolo che si porterà via un altro pezzo di dignità e di cuore. Un giorno elencherò tutte le cose che ho imparato in queste 8 settimane volate dietro quella scrivania che per la prima volta mi ha fatta sentire più vicina alla realizzazione del sogno di bambina, mi ha fatto scrivere da qualche parte il mio nome e cognome, mi ha fatto diventare una giornalista. Non è stato sempre semplice, anzi. Non è stato neppure come me lo immaginavo. Alla fine della fiera, però, mi legherei alla sedia. Pochi soldi, tanti sforzi, non m’importa. Non avevo mai avuto né gli uni né gli altri.

La paura più grande che brucia lo stomaco in questi giorni a ridosso dell’ennesima parola fine, è quella di non tornare ad avere più una fortuna simile. Le richieste del mercato ci spostano altrove, la flessibilità ci cambia sempre le carte in tavola, anche quelle della vita privata. L’esistenza stenta ad avere una direzione precisa e comune, per non parlare della sicurezza. Ho promesso a me stessa che l’odore dei soldi – sempre pochi – quelli che la Germania mi dà e l’Italia non mi concede, non mi faranno comunque perdere di vista l’obiettivo di sempre.

Perché ci sono delle cose incorreggibili.

Come, per esempio, il mio ostinato tentare. Sempre, comunque, anche quando penso di essere ferma. Spingo il mondo con le mie corna ricurve di ariete testarda e spesso lo porto dove voglio io. Ma, a parte gioire raramente di quelle vittorie, a parte non averne mai abbastanza, ci sono porte per cui ancora non ho trovato la chiave e che neppure la testa dura di diamante riesce a smantellare. Sono i cuori di quelli che mi conquistano, mi illudono, mi stuzzicano, mi perseguitano. Sono le fantasie a senso unico che mi fanno puntualmente sbandare, sono i percorsi che mi lasciano sempre a bocca asciutta. Nonostante ciò, la sete e la fame aumentano e così la forza di riprovarci, per farsi male di nuovo. E ancora e ancora e ancora.

Sì, ci sono cose che non cambiano.

Come la certezza – ci si augura – che ci sia sempre un domani, qualsiasi fattezze abbia, il più delle volte assumerà quelle che non abbiamo previsto. Ci speriamo sempre, maledizione.

Non cambia neppure il fatto…che si cambi. Che ci si debba evolvere, e che ci sia sempre una fine. Che c’è sempre qualcuno che ti rimpiazza, che gli altri sentiranno la tua mancanza per un attimo e poi cancelleranno il tuo sguardo con quello di chi ha preso il tuo posto.

Lascio traccia, ma non sono di nessuno.

Oppure, in fondo, sono solo stata quella dell’ufficio affianco al capo, quasi sotto le scale, quella che mangia da sola, quella che viene dall’Italia, “mamma mia”!

Quella con cui prendere il caffè alle 4 del pomeriggio, ogni santo pomeriggio. Fino a domani. E domani l’altro fare finta che nulla sia mai accaduto.

28 giugno 2013 – Factchecking

Ho pensato un post al giorno questa settimana, ma gli occhi si sono sempre chiusi prima che potessi digitare le mie voglie sulla tastiera, quella su cui ormai Z e Y sono invertite e le vocaline con la dieresi abbandonano il ruolo in sostituzione di quelle accentate. Tralasciate per pigrizia nelle mail che mando agli amici a ridosso del mio brevissimo ritorno in Italia per una ancor piú breve estate.

É venerdí, di nuovo. Il penultimo nelle stanze di Grüner+Jahr.

Sono le 17 e gli uffici sono stranamente giá vuoti, si é appena consumata la fuga verso il wochenende. Il silenzio che pervade i corridoi é…rassicurante. É come in quel film americano in cui la protagonista resta chiusa nel supermercato tutta la notte: senti di poter fare tutto, slegarti i capelli, allentare il nodo della cravatta, toglierti le scarpe.

Cosí mi metto a scrivere, finalmente, di me, non di altro, e abbandono il factchecking.

Devo ancora scoprire quante isole ha la Norvegia, e prima ancora cosa si intende per isola (anche uno scoglio in mezzo a un fiordo?). Qui ho imparato quanto sia importante non sparare castronerie, quanto lavoro c´é dietro ad ogni singolo articolo. Proprio mentre tutti discutono di come la stampa italiana non sia educata ad evitare le bufale, quando, come invece ha giustamente scritto Gramellini, si dovrebbe ancora preferire l´ingenuitá al cinismo.

Nella mia ingenuitá, per esempio, ricordo che il 28 giugno di qualche anno fa ho fatto l´amore per la prima volta. E che il 27 giugno dell´anno scorso abbandonavo la Norvegia, forse per sempre. Ero seduta, scomoda, sul mio balcone al settimo piano del building 9 dello studentato di Sogn. Maniche corte (a differenza degli 11 gradi che attanagliano Amburgo in una morsa novembrina) e il sole che si rifletteva su tutto il fiordo di Oslo rendendo il mare di metallo. Ho pianto lacrime amarissime.

Nella mia ingenuitá, ho pianto anche ieri sera. Perché ancora non capisco se questo sia davvero il posto che fa per me, perché ancora combatto contro una cultura che avverto come troppo diversa, anziché lasciarmi coinvolgere. Me ne sto lí con la mia armatura mediterranea e forse sono diventata piú impenetrabile di loro.

Ma i fatti della vita non si possono controllare, ed io dovrei davvero abbandonare la presa, lasciar fare le cose senza pormi troppe domande né darmi troppe spiegazioni.

Questa pagina, infatti, non ha bisogno di factchecking, rovinerebbe ogni singola virgola che ho riportato. La verosimiglianza é relativa, per quanto vi riguarda potrei pubblicare dalla spiaggia sabbiosa del mio Salento e inventarmi la storia di una gavetta iniziata lontano, se di questo si tratta.

Sí, mi piacerebbe!

21 giugno 2013 – L´artefice

L’ago del diagramma traccia a poco a poco
gli zigzag previsti?

Un quesito importante sussurrato all´orecchio da un´amica e suggerito da quella voce che ho dovuto lasciare sul comodino ad impolverare. Quel blocco indispensabile che torneró a riprendere, beffa del peso da rispettare, delle dimensioni da riempire.

É stata una settimana cruciale che avrei dovuto raccontare ad ogni singola tappa, ogni piccolo mattoncino posto su questo muro che sembra ergersi da solo e senza malta. In realtá, mai come in questo momento della mia vita, sono stata artefice del mio destino e tutto quello che é capitato é successo perché l´ho fortemente voluto, perché ci ho lavorato sú.

L´ultimo volo di sola andata che ho preso per Amburgo ormai piú di un mese fa aveva stiracchiato le sue ali sotto il presagio di una botta di culo, una scommessa, un tentativo. Una serie di segni indecifrabili che ancora non fanno completamente quadrare il cerchio, ma cominciano ad assumere un loro significato. Nonostante i capricci che un nuovo inizio, un nuovo Paese (spesso umanamente ostile) e una prima esperienza di lavoro meno soddisfacente del previsto mi hanno portata a contenere nei pugni stretti in cui ho scritto le scorse pagine e sfogato le mie frustrazioni, la Germania mi ha piú dato che tolto. Anzi, mi ha dato tantissimo.

Qui le prospettive sono diverse, qui le prospettive ci sono. Non é lo stereotipo dell´italiano in fuga che vede tutto nero dietro di sé: é piú che altro la lenta consapevolezza di essere stati bistrattati per lungo tempo, tanto da arrivare qui come bocconi appetitosi per i datori di lavoro perché ci sembra di non doverci lamentare di nulla, né di poter pretendere piú di quello che abbiamo. E invece no. Invece si possono puntare i piedi, guardare alto, anche da praktikum.

Io un´altra possibilitá a questa Italia gliel´avevo data. La risposta é stata un soddisfacente ní, ma senza il becco di un quattrino. Cosí ho capito che la mia nostalgica indole verso la carta stampata é legata ad un´idea di giornalismo che non esiste piú: almeno in Italia. Nessuno piú arriva la mattina in redazione per sedersi alla scrivania ed elaborare un articolo piú o meno geniale che assumerá l´odore penetrante dell´inchiostro nella stampa della notte. Non é piú una professione, ma un hobby, mascherato dalla dicitura del freelance.

Il nostro tempo é un altro, e tocca adeguarsi a ció che ci viene richiesto, a patto che ci piaccia, che ci gratifichi, che rispetti la nostra indole.

Cosí ho trovato un altro percorso da intraprendere. Un´ altra vetta da conquistare, restando alle pendici della stessa montagna. Resteró ad Amburgo per un´altra sfida, fino al Natale.

Alla lettura dell´ennesima mail fortemente attesa, preceduta dal mio primo vero colloquio di lavoro in cui l´ansia delle interrogazioni scolastiche e degli esami universitari si condensava nelle stesse fitte allo stomaco, ma mi vedeva in tailleur e tacchi alti, é seguita una potente crisi esistenziale.

Per la prima volta ho avvertito il distacco con la mia Terra. E´ uno scossone alla bussola, una direzione ben precisa, verso Nord.

Un anno fa ne ammiravo in sole di mezzanotte, e non avrei pronosticato neppure l´1% di quello che é la mia vita oggi. Ha del miracoloso, ma mi spaventa un po´. Vuol dire che tutto puó accadere sempre, nel bene e nel male, eppure sento di avere in pugno il mio piccone e di scegliere io dove puntare. E percuotere, sempre nello stesso punto, fino a perforare la roccia. Con una determinazione sciocca, una spinta apparentemente immotivata. Quando la spacchi, puoi ammirarla in frantumi e compiacerti della tua forza, o trovare un tesoro che non immaginavi.

12 giugno 2013 – This is kind of magic

Un ritornello che, strano ma vero, m’è venuto spesso in mente. Una frase che ho pronunciato suscitando le note di quella famosa canzone dei Queen.

1) Sì, un punto è questo. Perché è così quando ti sto parlando e ti metti a cantare riprendendo le mie parole citando qualcuno o qualcosa che non conoscevo ancora.

2) E’ così anche quando vieni a bussare alla mia porta proprio quando ti stavo pensando.

3) Lo è la sottile routine che non riusciamo a spezzare nè in meglio nè in peggio: alle 16 c’è sempre la pausa caffè, e se non sei ancora arrivato alle 16:01 mi piglia già male.

4) E il silenzio. Quei silenzi un po’ imbarazzanti un po’ più intensi dei racconti stupidi o meno con cui l’abbiamo occupato senza un vero senso. Sì, questa netta sensazione, nel silenzio, di volersi dire ancora tanto, e la scelta di non farlo.

But this is kind of magic also when:

5) Ti alzi la mattina, e ti svegli due minuti prima che suoni la sveglia, sempre!

6) Ti alzi una mattina e decidi di prenderla in un’altra maniera, sollevarti invece che stare a ciondolare fra il lato destro e il lato sinistro, tirandoti le coperte. Il sole è fuori.

7) Sì, c’è ancora il sole. E questo sì che è magico. Sono quasi due settimane di fila. E’ l’estate di Amburgo, finirà presto, ma ce la godremo fino all’ultimo spiraglio.

8) L’istruttore che parla in inglese. Il crucco che scende sudato dal tapis roulant pur di spiegarmi il funzionamento degli attrezzi che lasciano scaricare l’energia repressa sulla sedia davanti al computer. Uscita dall’ufficio sono una molla!

9) L’ufficio del caporedattore, con vista stratosferica su Michaeliskirche. E la riunione di fronte alla parete calamitata per scegliere la copertina del numero. Le miniature delle anteprime delle pagine. E’ come seguire una gravidanza, far parte di quell’ecografia.

10) Il futuro che si sblocca di nuovo, come un fiume, ma senza la piena. Forse aspetta l’arcobaleno sulla riva. Nel tempismo di una risposta in attesa da Roma, e un nuovo colloquio di lavoro la prossima settimana.

E ditemi voi se non è magico il fatto che la vita potrà pormi davanti ad una decisione epocale: scegliere fra l’Italia e la Germania, con due porte aperte ad entrambi i confini.

A quel punto spero in un’altra magia: che il destino scelga per me, perché io non sarei in grado.