Non poteva che essere notte per dedicare due parole al passato.
Non ho dimenticato di avere questo spazio…l’ho solo accantonato, in concomitanza con svariate quadrature di cerchio. Che strano effetto fa, rileggersi, adesso. Sembrano passati anni luce.
Fra 7 giorni sarò ufficialmente una laureata ebbasta, senza neo. Di nei, invece, ce ne sono talmente tanti che la pelle sana fa fatica a predominare. Se continuo a sfiorarla è solo perché si porta ancora dietro quell’abbronzatura prepotente cercata con tanto ardore…e le carezze di chi ha saputo aspettare per conquistarla, per poi abbandonarla come la muta di un serpente, una rete da pescatore.
E quindi, sì, dall’Argentina sono tornata, non chiedetemi perché.
Non avevo nulla a cui tornare.
Ci ho pensato tutti i giorni del mio tragitto per quelle strade infinite, senza delimitazioni di corsia, attraversando il verde rigoglioso della Pampa, con le sue vacche grasse al pascolo, e poi il paesaggio che si seccava rapido insieme ai cavalli dalle membra sempre più magre, spezzate dall’arsura del sole. Ci vuole fortuna anche per nascere selvaggi.
Ho goduto del percorso, dei boschi, dei laghi cristallini a confine col Cile, quando cominciavano a vedersi le Ande, finché non le abbiamo raggiunte. Del mare di Puerto Piramides, sulla costa atlantica, un posto del cuore, dopo aver spaccato il deserto patagonico senza incrociare un’altra auto per ore. Sdraiarsi sull’asfalto, urlare senza che potesse risponderti neppure l’eco.
Allora ho iniziato a non pormi le domande. E, stranamente, le risposte sono arrivate da sole, portate da una folata di vento.
Insomma, l’Argentina tanta roba…compresa quella che mi sono tolta di dosso. I pesi sul cuore, l’anima sporca di quel grigiore, e quei vestiti che dovevano scivolare ai piedi di un divano dopo venti giorni di campeggio.
Il compagno di viaggio è stato un compagno di vita…ma m’ha rimessa sull’aereo. Anzi, ha preferito che verso le ali ci andassi da sola, con tutte le mie insicurezze.
Perciò…sono tornata in Italia. Sono tornata a casa. E qui sto cercando di ricostruire una vita provvisoria che metta a posto qualche tassello fino all’ennesima scadenza, quella di Settembre 2014, in cui dopo questa estate perenne colma di progetti apparentemente aleatori ed utopie che si aspettano di essere sconfessate più che realizzate, vorrò decidere, ancora una volta, la prossima mossa.
La partita di scacchi più lunga del mondo, la vita.
L’Italia mi pare peggiorata. Non si vede la luce in fondo al tunnel. E’ complicato non lasciarsi abbattere da tutto ciò che sembra insormontabile, e poi sentirsi pure dire che le cose non le troviamo perché non le cerchiamo.
Noi? Proprio noi che ci siamo spinti fino ai confini del mondo, pur senza realizzare l’impresa?
Ho visto questo ritorno avvenuto quasi per caso, più come una presa di coscienza che come una sconfitta. L’oroscopo dice che l’indecisione potrebbe essere la mia carta vincente perenne. E che devo prendere la provvisorietà con leggerezza e fantasia, ironizzando su me stessa.
Ebbene allora vivrò, vivrò di solo vivere, come tutti mi intimate. Perciò non mi dilungo sui massimi sistemi divisi per punti per analizzare il mio primo anno con la pergamena in mano. Non l’ho neppure appesa in cameretta, quello spazio di bambina che ora mi sta così stretto, mi spezza le righe di un romanzo già scritto.
Il mappamondo è nel suo scatolo. Sta solo riposando un po’.